10 dicembre 2012

Intouchables (Quasi amici): il film da vedere



Quello che vi propongo oggi, signore e signori, è un film capolavoro. Un film commovente ma per nulla banale: è la storia (vera) di Philippe, divenuto tetraplegico in seguito a un incidente di parapendio, e di Driss, ragazzo di colore di periferia che, appena uscito di prigione, viene assunto dall’uomo come badante personale. 
Se vorrete vedere questo capolavoro, sappiate che non vi troverete affatto di fronte alla solita storiellina piena zeppa di luoghi comuni basati sulla compassione verso i disabili (non ci vuole certo un film per mostrare alla gente che la vita di tutti i giorni di un disabile non è proprio come essere su di un'amaca) diretta da un regista che ha la fantasia di un cavallino a dondolo ma un vero e proprio tragitto in cui amicizia, amore, sesso e responsabilità vengono unite per dar vita ad una testimonianza nuda e cruda che non solo fa riflettere ma soprattutto mette la disabilità sotto una luce sincera che sottolinea tutti gli aspetti, tutti i bisogni di un uomo che vuole ancora far sentire la sua voce. 

Quello che mi ha sorpreso è stata la grande ironia di Philippe (che tra l'altro assomiglia molto al mio modo di essere) verso se stesso e verso il suo stato fisico, e poi la naturalezza di Driss nell'interagire con Philippe in tutta franchezza: il suo essere diretto, ingenuo, inesperto e piuttosto avventato in certe sue azioni, ci fa capire come una persona possa avere a che fare con un disabile fregandosene della sedia a rotelle. Non ho deciso di parlarvi di questo film solo per la sua bellezza e autenticità ma soprattutto perché mi permetterà di approfondire tutti quegli aspetti che molto raramente vengono tirati in ballo quando si parla di disabilità e lo farò dividendo in vari piccoli sotto-capitoli in relazione ai punti che il film stesso tocca.




Amore:
Nel film si scopre che Philippe intrattiene dei rapporti esclusivamente epistolari con una donna dopo la morte di sua moglie, cosa che Driss non riesce a capacitarsi: come mai, malgrado la misteriosa destinataria gli abbia scritto il numero di telefono, Philippe non vuole chiamarla? La risposta potrebbe essere intuitiva. 
Il fatto è che è sempre molto difficile mostrare i propri punti deboli: vuoi per una questione di orgoglio o per la paura di rimanere solo, in ogni caso, spogliarsi di ogni corazza e presentare i propri punti deboli, per una persona disabile, significa mettere davvero tanta posta in palio. 
Lo so bene perché, come molti della mia generazione e tanti della successiva, ho esplorato il mondo del virtuale raccogliendo dagli alberi di una falsa identità i frutti della chat. È tutto figo inizialmente: ti descrivi esagerando su certi dettagli, la persona di la sembra essere incuriosita da te e tu cominci già a svolazzare nel più alto vortice dei cieli. Il "guaio" arriva quando lei ti chiede una foto: se una persona normodotata può fotografarsi in una situazione o in una posa figa, come faccio io che non posso muovermi? 
Driss nel film dice "non vedo il problema: le mandi una foto dove si vede la sedia a rotelle ma non troppo... non sei certo il tipo da foto stile Telethon in cui sei con la bocca storta e la lingua di fuori" (e questo ci rimanda all'articolo "un volto nuovo"). 
Driss ha ragionissimo... è solo che, hai paura di mostrarti totalmente per quello che sei perché magari tu ti sei veramente innamorato di quella ragazza: accetterà un ragazzo andicappato come suo tipo? Riuscirebbe mai ad essere sufficientemente paziente per aspettare i ritmi che la malattia, direttamente o indirettamente, mi impone? e se mi lasciasse solo? 
"ti pensavo... diverso...". Dio... ho la nausea da tante volte che l'ho letto. 
È la vita certo... quando si cade ci si rialza... mi chiedo solo fino a quando riuscirò a farlo, a volte dire "ma vada a farsi fottere, è lei che ci perde" non funziona più.


Rapporto disabile-badante:
"su.. forza... non puoi spingere una carrozzella per il resto della tua vita" queste sono le parole che Philippe dice a Driss nel film quando realizza che purtroppo Driss dovrà andarsene. Fino a che punto l'amicizia ha la forza di non invadere la sfera professionale? È molto complicato, sono tutte cose che vanno gestite con estrema cautela. Dobbiamo renderci conto che un badante (o una badante) ha a che fare con una persona disabile ogni giorno e ogni ora, com'è possibile non spiccicare una parola o comunque mantenere un comportamento rigidamente professionale? Non è impossibile ma, in ogni caso, altamente improbabile. 
Un badante non si prende cura solo della persona bisognosa in senso strettamente fisico ma ascolta anche ciò che questa ha da dire: può essere incazzata, demoralizzata, gioiosa, allegra o innamorata (e quando una persona è innamorata è pericolosa perché se per sbaglio riesce a taccar bottone con un amico e a descrivergli di quanto lei sia diversa da tutte le altre e fantasticamente stupenda bè, per quel amico, è finita. Figurarsi se l'amico è il badante). 
Ho avuto molte persone che mi hanno aiutato nel corso della mia vita: con alcune di queste ho avuto un bel rapporto e, quando purtroppo son dovute partire, mi è davvero spiaciuto molto. Con altre, invece, vi dico la verità, sono ben contento che se ne siano andate perché erano svogliate e incapaci ma soprattutto non avevano capito un bene amato cazzo del mio modo di essere. 
Un buon badante? Deve (a mio avviso) essere sempre presente mantenendo però una certa discrezione cercando di capire se il disabile si trova in una situazione normale (magari davanti al PC o a leggere un libro) o se si trova in una situazione privata (con amici o quando sta con la sua ragazza). Non deve mostrare compassione (perché questa non è richiesta) e soprattutto non deve rompere i coglioni nel continuare a ripetere di quanto sia importante prendere un determinato farmaco o meno. Non dico che non abbia ragione (se questo venisse fatto) ma un conto è ricordare e un conto è frantumare le sacche marronarie!


Sesso:
Chi l'ha detto che i disabili siano dei santi?? 
Ebbene, prendendo spunto da questa mia frase, voglio parlarvi di sesso facendo però prima una premessa: come ho già detto (ma è bene ricordarlo) esistono varie forme di disabilità che determinano cosa il disabile in questione può o non può fare. Nel mio tipo di disabilità, vi assicuro, che li sotto è tutto ok! (fin troppo! ...vabè, lasciate perdere e andiamo avanti). 
Tornando seri: mettiamoci in testa che un disabile (malattia permettendo) è perfettamente in grado di avere un rapporto sessuale con una donna. Certo non si possono pretendere delle posizioni alla Rocco Siffredi ma nel proprio piccolo si possono fare grandi cose. 
Oltre a questo, va spiegata ancora una cosa: quello che forse può venire a mancare è la naturale impulsività che spesso salta fuori in una relazione di copia. Per farvi capire meglio cosa intendo dire, userò un esempio: se voglio abbracciare una ragazza ho bisogno che lei mi alzi le braccia e che le metta intorno a se, solo da quel momento li posso stringerla... da li in poi posso esserci io. Se voglio baciarla, invece, ho bisogno che questa si chini verso di me per arrivare alle sue labbra, dopodiché, a baciare ci penso io (e lei farà poi la sua parte naturalmente). Per quanto riguarda la sfera sessuale, bè, ho bisogno che una persona mi metta sul letto, lascerò poi alla fortunata l'onore di spogliarmi. 
Da li in poi... no cari, va bene la libertà di parola, ma questo... è troppo! 
Anche questo viene affrontato in Intouchables quando Driss chiede: "senti, non offenderti ma... mi sono sempre chiesto: come fai tu a....? si, insomma...." e Philippe: "non so se hai notato ma non sento assolutamente niente dalla base del collo fino alla punta dell'alluce. Bisogna, adattarsi...". Vero, mio caro Philippe: bisogna adattarsi... ma questo non vuol dire che non si possa farlo!




Come vedete, miei carissimi lettori, dietro ad una persona disabile, spesso, si nascondono molti meno problemi di quanto si possa immaginare. 
Il mio consiglio dunque, se vi siete o vi state innamorando di una persona portatrice di handicap ma avete paura perché, infondo, sapete poco, bè, è quello di chiedere senza nessun problema: Cosa puoi o non puoi fare nel tua vita? 
Se state avendo a che fare con una persona intelligente e matura, si assicuro che questa vi risponderà con estremo piacere.

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e voi? che pensate a tal proposito??
dite la vostra scrivendo un commento

1 dicembre 2012

Cartelloni da non dimenticare


Salve a tutti miei cari lettori!
Oggi affronteremo e ricorderemo (per chi, come me, è ticinese) un fatto che ha creato non poche polemiche in tutto il Ticino.




Correva il mese di novembre del 2009 quando, improvvisamente, senza che nessuno ne sapesse niente, sono apparsi dei cartelli con sfondo bianco e scritta nera: “i disabili sono inutili”, “i disabili non vogliono lavorare” e “i disabili ci costano solo soldi”.

Non si fecero desiderare le reazioni, sia di tipo sociale che politico: Laura Tarchini (PPD), Lauro Degiorgi (PS), Ivan Belloni (PLR) e altri consiglieri comunali, hanno sottoposto il caso all’esecutivo di Lugano dichiarandosi indignati per i cartelloni apparsi in loco (e non solo) e spiegano che in quei giorni diversi turisti italiani di passaggio, sono stati visti a Lugano che fotografavano i manifesti e, sconcertati, affermavano ironicamente: “complimenti agli svizzeri”.

Mentre Bellinzona nega di sapere chi c’è dietro a questa campagna pubblicitaria, Maria, mamma di Nicoletta (bimba disabile purtroppo), chiede che i cartelloni vengano rimossi immediatamente perché la fanno sentire offesa e discriminata e chiede alle autorità, supplicante, di fare qualcosa... perché non offendono solo lei ma tutti coloro che, purtroppo, sono portatori di handicap. Anche Ticino Turismo non riesce ad accettare che certi slogan di simile bassezza appaiano in città: “è un’offesa nei confronti delle persone disabili che oltre a creare indignazione pubblica, mette in cattiva luce il Ticino davanti ai nostri ospiti che trascorrono alcune ore nelle nostre città”. Lugano provvederà chiedendo all’AI di Berna se ci sarà un seguito a questa vicenda.





I giorni passano e ancora non si conosce chi c’è dietro a quest’ideona ma comincia a circolare la voce che i manifesti non siano discriminanti ma pro disabili. L’obbiettivo sarebbe quello di mettere nero su bianco i pregiudizi esistenti nei loro confronti: le scritte non sono altro che la prima metà di una frase che trasformerà il significato negativo in positivo.

Malgrado ciò, i consiglieri comunali, non gradiscono e si vedono preoccupati per le persone portatrici di handicap e le loro famiglie che, leggendo quelle scritte, si sentono ferite moralmente. Lorenzo Giacolini (direttore della federazione ticinese integrazione andicappati) giudica la campagna moralmente inaccettabile e offensiva, anche se costruita a fin di bene: “se almeno ci fossero state indicazioni sull’autore la gente avrebbe capito che ci sarebbe stato un seguito [...] il problema poi non è tanto il fatto di provocare: di campagne provocatorie a favore dei disabili ne sono già state fatte, ma non con contenuti di questo tipo. Se il promotore della campagna non uscirà allo scoperto” dichiara Giacolini “potremmo prendere provvedimenti con una causa contro ignoti”.




Ma chi sono? Chi sono le persone o gli enti che hanno fatto stampare e mettere in tutte le città questi cartelloni? Secondo il sito d’informazione “20 minutes” gli autori vanno cercati nell’Assicurazione invalidità, infatti, l’ufficio delle assicurazioni sociali non ha nè smentito nè confermato.

La società generale d’affizione svizzera non è ancora riuscità a svelare il volto dell’”artista” e Pro Infirmis giudica i cartelloni inaccettabili. Mentre si filosofa sul fatto se questo tipo di provocazione sia o meno adatta al nostro tipo di società, anche le forze dell’ordine si mobilitano per cercare un colpevole. Non essendo firmati (i cartelloni) potrebbero essere stati pubblicati da chiunque, senza un vero e proprio intento positivo: “sarebbe grave” dice un membro delle forze dell’ordine: “ma al giorno d’oggi non mi stupisco più di nulla”.




Poi, il Corriere del Ticino, pubblica questa stesura scritta da Manuela Bernasconi da Pregassona: un testo che squote gli animi in quanto mette l’accaduto sotto una luce diversa. Un’educatrice professionista, diventata tetraplegica per un periodo a causa di una malattia, invita tutti gli indignati alla riflessione, piuttosto che fare tutto questo baccano. Manuela trova quelle scritte geniali perché riflette nero su bianco (e senza tanti giri di parole) quello che è la realtà, a condizione però, che queste scritte, possano attirare l’attenzione di tutti per poter parlare del problema in modo serio e approfondito. Non si ferma a ciò e va avanti nelle sue argomentazioni puntando il dito contro chi amministra i soldi e gestisce le misure di contenimento delle spese nel settore delle strutture socio-sanitarie e socio-educative:

“Quello che per una persona normodotata è assoluta routine e non merita nemmeno attenzione, per una persona in difficoltà è pura utopia. Parlo dell’autodeterminazione nelle piccole scelte di ogni giorno. Purtroppo nelle strutture socio-sanitarie e socio-educative il personale è stato tagliato all’inverosimile, bisogna lavorare per priorità. I piccoli bisogni vengono a volte soffocati, per forza. Mi rivedo a dover ammettere di non aver tempo per soddisfare piccole richieste dei miei utenti”

vi invito a leggere la versione integrale di questo articolo: per farlo basterà cliccare sull’immagine e in questo modo la potrete ingrandire.






È ufficiale! Finalmente un volto, finalmente un nome, finalmente l’autore: l’UFAS. L’ufficio federale assicurazioni sociali è la mente di quest’ideona che (chissà perché...) ha tenuto una conferenza stampa anticipata, nel canton Berna, dove il vicedirettore Alard du Bois-Reymond si è scusato pubblicamente con tutte quelle persone che si sono sentite toccate dalle scritte. Anticipata è stata anche la seconda parte della campagna pubblicitaria così da guarire, il più velocemente possibile, ogni cicatrice procurata involontariamente e far capire il vero intento che si celava dietro a quei cartelloni maledetti un po’ da tutti.

La direttrice del DSS (Dipartimento della sanità e socialità) Patrizia Pesenti, però, non ci sta e assicura che nè il Governo, nè il DSS, nè l’AI come neppure l’IAS ne sapevano nulla fino a pochi giorni prima: “il limite è stato ampliamente superato” continua la direttrice del DSS “io, personalmente, non avrei mai approvato una campagna con frasi così provocatorie [...] spero che l’UFAS tragga qualche conclusione da questa esperienza”.





Tutto è bene ciò che finisce bene? Non lo so. Fatto sta che i cartelloni mostravano solo la prima metà di una frase come in molti, tra l’altro, sospettavano (o per lo meno, in nome del buon senso del limite, speravano). “i disabili sono inutili, perché non permettiamo loro di lavorare” o ad esempio “i disabili non verranno mai a lavorare, fino a quando butteremo via i loro curricula”.



Chissà, se anche in questo caso, tutto è bene ciò che finisce bene?



Quando è emersa la vicenda io avevo 19 anni e, ad essere onesto, non mi sono interessato gran che. Certo i cartelloni mi offendevano e spesso provavo disgusto tutte le volte che se ne parlava o che li vedevo ma non ho mai approfondito la cosa.

Ora, all’età di 22 anni, forse ho imparato a parlare meno ed ascoltare di più. Così, leggendo i vari articoli di giornale, ho potuto sentire entrambe le campane con attenzione e posso dirvi (nel modo più completo e chiaro possibile) quello che penso io.

Posso comprendere che l’UFAS abbia voluto utilizzare la provocazione per attirare l’attenzione della popolazione ma qui la corda è stata tirata fin troppo (per i miei gusti). Mi trovo d’accordo con Lorenzo Giacolini e un’agente delle forze dell’ordine quando dicevano che se le scritte fossero state almeno firmate, la gente avrebbe aspettato dei chiarimenti o delle spiegazioni. Invece, in questo modo, la frase dà la sensazione che sia completa e finita così per cui trovo normale che la gente reagisca (escludendo i politici per loro devono sempre fare la voce grossa).

La testimonianza fatta dalla signora Manuela Bernasconi l’ho trovata sbalorditiva perché è riuscita a mettere il problema sotto un altro aspetto interpretandolo positivamente. Su vari elementi sono d’accordo con lei ma in molti altri no: in primo luogo non si può avere l’arroganza di sapere come un disabile si senta davanti ad un ostacolo per il “semplice” fatto che una malattia l’abbia portata in una situazione di tetraplegia temporanea, di disabilità ne esistono varie forme come esistono vari tipi di caratteri che determinano l’interpretazione di un problema che ogniuno di noi incontra nel proprio cammino. In secondo luogo credo che l’attenzione debba focalizzarsi non sulle scritte in sè ma sulla sfaggiataggine con la quale queste scritte sono state rese pubbliche senza un preavviso o un minimo di spiegazione.
Infatti, questo tipo di messaggio, ha obbligato l’UFAS a svelare anticipatamente il seguito della campagna pubblicitaria per potersi parare il culo. Il problema però è che nessuno di questi benpensanti han previsto che certe frasi posso lasciare una cicatrice indelebile quindi, seppur l’intento fosse buono e la campagna fosse al servizio della difesa dei disabili, non è sufficiente ad addolcire molte bocche amareggiate.
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